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Curiosità spaziali: Europa

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Buondì legaioli!

Il buon Drugo dopo 8 lunghi giorni di assenza ritorna, e ritorna con me la rubrica più faiga dell’universo:

Curiosità spaziali

Oggi, da bravi voyeur spaziali, diamo uno sguardo peccaminoso a una delle lune più interessanti del sistema solare:

Europa

1_ Europa è il quarto, per dimensioni, satellite naturale del pianeta Giove, ed uno dei più massicci dell’intero sistema solare. Venne scoperto da Galileo Galilei il 7 gennaio 1610 assieme ad Io, Ganimede e Callisto, da allora comunemente noti con l’appellativo di satelliti galileiani.

2_ Il suo nome deriva da quello di Europa (ma dai?), una delle tante amanti di Zeus secondo la mitologia greca. Lo stesso personaggio ha dato origine anche al nome del continente europeo (non lo avrei mai immaginato!).

3_ Per un certo periodo la paternità della scoperta di questo satellite era messa in dubbio. Nel 1614 Simon Marius, un astronomo tedesco, pubblicò il Mundus Iovialis, un saggio dove descriveva giove e le sue lune, arrogandosi la scoperta dei suddetti corpi celesti, precedendo di qualche giorno il buon vecchio Galileo. Oggi invece si sa per certo che sia Galilei che Marius hanno scoperto indipendentemente tali corpi celesti, ma il ritardatario fra i due fu proprio Marius.

4_ Osservazioni condotte nel 1994 tramite lo spettrografo di bordo del telescopio spaziale Hubble hanno rivelato la presenza di una tenue atmosfera attorno al satellite, composta di ossigeno. La pressione atmosferica al suolo è nell’ordine del micropascal. Di tutti i satelliti naturali del sistema solare, solo altri sei (Io, Ganimede, Callisto, Titano, Encelado e Tritone) possiedono un’atmosfera apprezzabile.
A differenza dell’ossigeno presente nell’atmosfera terrestre, quello di Europa non ha origine biologica; è con tutta probabilità generato dall’interazione della luce solare e di particelle cariche con la superficie ghiacciata del satellite, che porta alla produzione di vapore acqueo. In seguito alla dissociazione in ossigeno e idrogeno, quest’ultimo sfugge con facilità all’attrazione gravitazionale del corpo e si disperde nello spazio.

5_ La superficie di Europa
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6_ L’oceano di Europa
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7_ L’esplorazione di Europa: Alla ricerca di vita extra-terrestre
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Fonti
La mia umile testolina.
Wikipedia ITA ed ENG
The Planetary Society
NASA

[Curiosità Spaziali] è la rubrica di Lega Nerd sulle curiosità e notizie riguardanti spazio e astronomia.

Curiosità spaziali: Europa è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd.

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Curiosità Spaziali & XKCD: Spirit

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Il 26 Gennaio [2010], dopo 2274 giorni marziani di missione, la NASA ha dichiarato Spirit una ’stazione fissa di ricerca’ prevedendo di farlo rimanere operativo per molti mesi ancora fino a che l’accumulo di polvere sui suoi pannelli solari costringerà allo spegnimento finale.

Dopo 2627 sols, un sol è un giorno su Marte, il 25 maggio 2011 la NASA annuncia la fine della missione Spirit.
Come ultimo gesto in suo onore non ci resta che ricordare tutto quello che ha passato il nostro robottino coraggioso sul pianeta rosso.

Pebkac?


Il 4 gennaio 2004 Spirit atterrò con successo nel Cratere Gusev, ad appena 10km dall’ipotetico punto di atterraggio perfetto.
Ma la cara vecchia legge di Murphy è in agguato anche al di fuori della Terra.
Gli airbag -ora sgonfi- usati per attutire l’atterraggio bloccano la strada del rover. Se provasse a passarci sopra rischierebbe di impigliarsi in essi.

Fortunatamente i tecnici del JPL riuscirono a far ruotare il rover e a farlo uscire dal lander evitando i malefici airbag.
Con questo piccolo imprevisto inizia la missione del nostro amato rover.

Al sol 19 però Spirit cade in una crisi nera.
In quei giorni aveva funzionato più che correttamente, inviando megabyte su megabyte di foto e dati al centro di controllo.
Ma all’improvviso, il 22 gennaio 2004, Spirit inviò un segnale di guasto e chiuse le trasmissioni.

Ovviamente il gruppo dedicato al rover cadde nel panico, il segnale non specificava il tipo di guasto e il rover non rispondeva ai comandi.
Ma allora come hanno fatto a risolvere il problema? Dandoci a caso.

Sulla Terra c’erano ancora i prototipi dei due rover, il gruppo di controllo ne prese uno e iniziò a farci test di ogni tipo -giorno e notte- per vedere se riuscivano a ricreare l’errore sulla Terra.
Alla fine ipotizzarono che il guasto era dovuto a una memoria flash mal funzionante, un accumulo eccessivo di file in essa la mandò in corto costringendo il rover a fare 77 reset consecutivi e impedendogli di spegnersi la notte per conservare le batterie.
Un disperato tentativo di riprogrammazione da remoto permise di isolare la memoria difettosa e il rover ritornò in vita.

Alla ricerca di acqua


Spirit venne fatto atterrare nel cratere Gusev perché alla Nasa pensavano che fosse ciò che restava di un antico lago marziano.
Capirete il loro disappunto quando scoprirono che esso era in realtà una grande distesa lavica senza alcuna traccia di acqua.

Sperando in un colpo di fortuna decisero di mandare il rover nel cratere Bonneville, distante 400 metri.
Poco prima di raggiungere il cratere Spirit trovò una roccia, chiamata in seguito Humphrey rock, che riportava segni compatibili ad un’erosione dovuta all’acqua.
Il rover raggiunse -finalmente- il cratere l’11 marzo 2004. E al JPL erano ancora carichissimi per la roccia scoperta precedentemente.
Ma anche lì c’erano solo rocce laviche.

Dato che era evidente che rimanere in quel luogo era solo una perdita di tempo decisero di tentare “un lancio lungo”.
A circa 2 chilometri di distanza si stagliavano sull’orizzonte le Columbia Hills.
Così, alla strabiliante velocità di 2cm/s, Spirit iniziò un viaggio che sarebbe durato più di tre mesi.

Di per se la distanza non era un problema, il problema era che si stava avvicinando l’inverno marziano.
Con il sole più basso sull’orizzonte la ricarica delle batterie sarebbe stato un problema non indifferente.
Ma al JPL ebbero un’idea geniale. Beh geniale, non è che li pagano per niente lì.
Spingendo a tavoletta sul gas riuscirono a fargli raggiungere la base delle colline proprio all’inizio dell’inverno marziano.
Per ricaricare le batterie iniziarono a fargliele scalare procedendo a zig-zag.

In tal modo il rover -e di conseguenza i suoi pannelli solari- erano inclinati in favore del sole, permettendo di carpire quel briciolo di energia in più necessaria al suo funzionamento.

Botte di culo a go-go


Una volta scalate le Columbia Hills, e per tutto l’anno seguente, Spirit si dedicò allo studio del terreno e delle rocce che incontrava lungo il suo cammino.
Ma dopo più di un anno di attività Spirit iniziava ad avere qualche problema.

La polvere accumulata sui pannelli solari ridusse la loro efficienza fino al 60%. Costringendolo a lunghe soste per la ricarica delle batterie.
Il 9 marzo 2005 però l’efficienza salì -improvvisamente- fino al 93%.
Probabilmente durante la notte il rover venne colpito da un dust devil che spazzò via la polvere da esso.
Ma io credo che in realtà Marte sia abitato da una razza aliena di colf.
Permettendogli di incrementare il suo range di utilizzo.

Un anno dopo, il 16 marzo 2006, la ruota anteriore destra si bloccò, impedendo a Spirit di proseguire a una velocità accettabile.
Il rover non poteva rimanere lì, l’inverno si stava avvicinando.
Al JPL quindi decisero di farlo procedere in retromarcia, trascinandosi dietro la ruota difettosa.

Ruotando la telecamera per vedere se l’idea aveva avuto successo gli scienziati scoprirono una cosa eccezionale.
La ruota bloccata scavava un solco più profondo di quello delle altre nel suolo marziano, questo solco rivelò un substrato simile a quello che si trova vicino ai geyser sulla Terra. E molto favorevole alla vita monocellulare.
Se la ruota non si fosse bloccata questo substrato non sarebbe mai stato portato alla luce.

Bloccato


Il 1 maggio 2009 finì in punto improvvisamente più soffice del terreno marziano che ebbe lo stesso effetto delle sabbie mobili.
Come se non fosse abbastanza la ruota anteriore destra lo prese per il culo compiendo 10 rotazioni per poi bloccarsi definitivamente, e poco dopo anche la ruota posteriore destra smise di funzionare.
Lasciando il rover bloccato nelle sabbie mobili, zoppo e con l’inverno alle porte.

Il 26 gennaio 2010, dopo mesi e mesi di tentativi per liberarlo, la Nasa cambiò la sua missione in stazione di ricerca fissa. Lasciando il ruolo di maratoneta al suo gemello Opportunity.

Il 22 marzo 2010 Spirit inviò il suo ultimo segnale alla Terra.
Dopo 1200 tentativi di comunicazione la Nasa, il 25 maggio 2011, ha dichiarato ufficialmente conclusa la missione di Spirit, dopo migliaia di foto inviate a terra, decine di luoghi diversi esplorati in oltre 6 anni ed oltre 7730 metri percorsi (ad una velocità di pochi centimetri al secondo).

La missione di Spirit doveva durare 90 giorni inizialmente.
E’ finita più di 6 anni dopo.
Se fosse stato un essere umano egli avrebbe vissuto per più di 2400 anni.
E sono certo che la maggior parte delle persone, in 2400 anni di vita, non riuscirebbe a fare un lavoro migliore di quello che ha fatto questo rover in 6 anni.
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Vignetta e quote by @Sabas ovviamente.
Questa vignetta venne postata tanto tempo fa da @Itomi

Links
Vignetta originale su XKCD.
Wikipedia
La mappa degli spostamenti di Spirit
Mars Exploration Rover Mission
Le foto scattate da Spirit

[Curiosità Spaziali] è la rubrica di Lega Nerd sulle curiosità e notizie riguardanti spazio e astronomia.

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Curiosity è sulla via di Marte

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Questo rover sarà tre volte più pesante e due volte più largo dei rover Spirit e Opportunity che atterrarono nel 2004. Trasporterà gli strumenti scientifici più avanzati rispetto a qualunque altra missione sul pianeta rosso, forniti dalla comunità internazionale.

Atlas V ha portato nello spazio Curiosity, il laboratorio spaziale della NASA (Mars Science Laboratory) destinato ad atterrare su Marte il prossimo agosto 2012.

Lanciato dal Kennedy Space Center in Florida, Curiosity rimarrà su Marte almeno un anno marziano (circa 2 anni terrestri) e lo scopo sarà quello di investigare sulla passata e presente capacità di Marte di sostenere la vita.

In approfondimento il video del distaccamento dal razzo Atlas V e un disegno schematico del rover.

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via | Mars Science Laboratory (Wikipedia) | Spaceflight Now

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Per Mezzo Cent Abbiamo Smesso di Sognare

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Bellissimo discorso di Neil DeGrasse, abbiamo smesso di sognare, per risparmiare mezzo cent.
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Siccome mi dicono che sulla lega i post da 2 righe e un video non vanno bene vi metto in approfondimento la traduzione del discorso presa di peso dal blog di Attivissimo

Questo è quello che è successo negli anni sessanta: eravamo in guerra con l’Unione Sovietica. Una guerra fredda, con un po’ di guerra “calda” nel sud-est asiatico. Così avevamo paura di loro, perché avevano lanciato lo Sputnik – che fra l’altro, la gente non se lo ricorda ma era l’involucro svuotato di un missile balistico intercontinentale.

E “Sputnik” significa “compagno di viaggio”: tutto pacifico, insomma. Ma era la testata di un missile balistico, senza gli esplosivi. E quello fu quindi un segnale. E a noi, in America, venne il panico. La NASA fu fondata sull’onda della paura dello Sputnik. Bene. Così andiamo sulla Luna per paura che la Russia ci dominasse dall’alto. Poi andiamo sulla Luna e gli appassionati di spazio dicono “Oh, siamo sulla Luna nel 1969, saremo su Marte entro altri dieci anni!” Non avevano capito assolutamente le ragioni per le quali eravamo andati sulla Luna in primo luogo! Eravamo in guerra; quando abbiamo visto che i russi non erano pronti per andare sulla Luna abbiamo smesso di andarci anche noi. Questo non dovrebbe stupire nessuno che guardi di nuovo quel periodo.

Ma nel frattempo quell’intera epoca aveva galvanizzato la nazione. Lasciamo stare la guerra come motore. Ci galvanizzò tutti a sognare il domani. A pensare alle case del futuro, alle città del futuro, al cibo – tutto era FutureWorld, FutureLand, l’Esposizione Universale, tutte queste cose erano incentrate sul consentire alla gente di realizzare il domani. Era un atteggiamento culturale che ci era stato dato dal programma spaziale. E ne abbiamo raccolto i benefici di crescita economica perché avevamo gente che voleva diventare scienziato o ingegnere: la gente che rende possibile oggi che esista il domani. E anche se non sei uno scienziato o un tecnologo, darai valore a quell’attività. E queste, nel ventesimo secolo, sono le fondamenta delle economie di domani. Senza di esse, tanto vale che ci trasciniamo di nuovo alle caverne dove siamo diretti in questo momento – rovinati.

Sono stanco di ripeterlo, ma lo devo dire ancora: il budget della NASA ammonta a quattro decimi di cent per ogni dollaro di tasse. Se tenessi in mano un dollaro di tasse e lo tagliassi orizzontalmente per quattro decimi dell’un per cento della sua larghezza non arriverei neanche all’inchiostro. Quindi io non accetto che si dica “Non ce lo possiamo permettere”!

Vi rendete conto che gli 850 miliardi di dollari di salvataggio delle banche, quella somma di denaro, è più dell’intero budget di gestione della NASA di cinquant’anni? E quindi quando qualcuno dice “Non abbiamo abbastanza soldi per questo programma spaziale”, io chiedo “No, non è che non avete abbastanza soldi: è che la distribuzione dei soldi che state spendendo è distorta in un modo che vi fa eliminare l’unica cosa che dia alla gente qualcosa di cui sognare: il domani. La casa di domani, la città di domani, i trasporti di domani.” Tutto questo è finito negli anni settanta, dopo che abbiamo smesso di andare sulla Luna. È finito tutto. Abbiamo smesso di sognare.

E quindi io sono preoccupato che le decisioni del Congresso non tengono conto delle conseguenze di quelle decisioni sul domani. Mirano al rapporto trimestrale, mirano alla prossima tornata elettorale, e questo sta ipotecando il vero futuro di questo paese. Il domani non c’è più.

Se raddoppiate il budget della NASA – adesso è mezzo cent sul dollaro – lo portate a un cent, siate temerari, portatelo a un cent… Basterebbe per andare entro breve tempo su Marte con della gente e tornare sulla Luna e andare oltre a visitare un asteroide. La NASA, per quel che posso giudicare io, è una forza della Natura senza eguali. E quindi quello che mi preoccupa è che se togli il programma spaziale umano – un programma che, se fai avanzare le frontiere, fabbrica eroi – è un operatore di forza sulla filiera dell’istruzione che stimolerà la formazione di scienziati e ingegneri, di matematici e tecnologi. Fai nascere queste persone e le introduci nella società. Sono loro che fanno arrivare il domani.

Mezzo centesimo. Ci compri la Stazione Spaziale, lo Space Shuttle, tutti i centri della NASA, i veicoli robotici, il telescopio Hubble, tutti gli astronauti. Tutto.

Nessuno più sogna il domani. L’agenzia che ha il maggior potere sui sogni di una nazione è ora a corto di fondi per fare quello che deve fare: far avverare i sogni.

Quanto paghereste per l’Universo?

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Il programma Lunokhod

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Lunokhod 1

Curiosity e gli altri rover della NASA sono tanto famosi e tutti ammirano lo sforzo tecnologico degli americani per mandare mezzi da esplorazione su altri corpi celesti… ma se vi dicessi che il mezzo che ha compiuto più chilometri è russo e detiene il suo record dal lontano 1973?

 

Il programma Lunokhod

Il programma Lunokhod o Луноход, cioè “camminatore lunare” in russo, si prefiggeva di mandare sulla Luna dei rover telecomandati dalla Terra: il fine ultimo era individuare aree adatte all’atterraggio, anzi l’allunaggio, di equipaggi umani e la successiva creazione di basi lunari.

Il programma Lunokhod

Dal 1969 al 1977 furono creati quattro diversi rover: il Lunokhod 201, il Lunokhod 1, il Lunokhod 2 e il Lunokhod 3.

 

 

Lunokhod 201

Dopo anni di ricerca e sviluppo la Russia lanciò il suo primo rover, il il Lunokhod 201, il 19 febbraio 1969. Dopo pochi secondi dal lancio il razzo che lo trasportava esplose e il povero 201 si disintegrò.

Il resto del mondo venne a sapere di questo insuccesso solo molti anni dopo

 

 

 

Lunokhod 1

Lunokhod 1 fu il primo rover controllato a distanza ad atterrare su un altro mondo

Portato sulla Luna dalla sonda Luna 17 il Lunokhod 1 fu il primo rover controllato a distanza ad atterrare su un altro mondo, il 17 novembre 1970.

Il rover russo scese da una delle due rampe costruite sul lander e toccò il suolo lunare nel Mare Imbrium.

Rimase attivo per 322 giorni, percorse poco più di 10 km e trasmise oltre 20000 immagini alla Terra.

Lunokhod 1

Qui sopra vediamo il Lunokhod 1 in tutto il suo splendore, ricordiamoci che stiamo parlando di tecnologia sviluppata negli anni sessanta!

Il rover era lungo circa 2,3 metri e aveva 8 ruote indipendenti, ognuna equipaggiata di motore e freno. Aveva due possibili velocità: 0,8 km/h e 2 km/h

E’ incredibile leggere cosa alloggiava tecnologicamente questo “nonno”:

  • 1 Antenna conica fissa
  • 1 Antenna ad elica direzionale
  • 4 videocamere
  • 1 Braccio estensibile per testare la consistenza e le proprietà del suolo lunare
  • 1 Spettrometro a raggi X
  • 1 Telescopio a raggi X
  • 1 Rilevatore di raggi cosmici

Ma come era alimentato vi chiederete? Beh, chiaramente da una batteria elettrica che veniva ricaricata durante il giorno lunare da dei pannelli solari.

Durante la notte i pannelli venivano richiusi e un generatore di calore al polonio-210 riscaldava gli strumenti per permetterne il funzionamento. #epic

 

 

 

Lunokhod 2

Il Lunokhod 2 fu il secondo rover ad arrivare sulla Luna, il 12 gennaio 1973. La sua missione consisteva nel fare controlli sul cambio giorno/notte e testare quindi i livelli di luce per capire se aveva senso installare sulla Luna una base atta all’osservazione astronomica.

Furono poi effettuati i primi test con il laser per misurare efficacemente la distanza Terra-Luna oltre che l’osservazione dei raggi X solari, misurazioni del campo magnetico locale e un test sulle proprietà meccaniche del suolo.

Lunokhod 2

Il Lunokhod 2 aveva un equipaggiamento e una forma molto simili al suo predecessore, oltre agli strumenti aggiuntivi per portare a termine la sua nuova missione, il nuovo rover russo montava una telecamera aggiuntiva in posizione elevata (si vede chiaramente nella foto sopra) che serviva a meglio pilotare il mezzo dalla Terra: Il primo Lunokhod infatti aveva solo camere montate nella parte bassa che erano perfette per scattare foto al suolo lunare, ma pessime per capire dove si stava andando.

Il Lunokhod 2 rimase attivo quattro mesi e percorse 37Km: un record ancora oggi imbattuto per le sonde robotiche.

 

Trasmise oltre 80000 immagini in alta risoluzione grazie a due nuove camere che spedivano di continuo immagini incredibili alla base di controllo in Russia.

Travel on other worlds

 

 

Lunokhod 3

Il Lunokhod 3 fu costruito nel 1977, ma purtroppo non fu mai lanciato sulla Luna per mancanza di fondi.

Lunokhod 3

E’ esposto al museo della NPO Lavochkin.

 

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La Conquista del Polo Nord: Frederick Cook e Robert Edwin Peary

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La conquista del Polo Nord è stata una delle storie di esploratori più controverse e discusse: moltissimi hanno tentato l’impresa e tanti ne hanno dichiarato il successo guadagnando le prime pagine dei giornali, ma chi ha davvero raggiunto il Polo per primo?

Raccontare tutte le vicissitudini dietro a questa incredibile impresa non è per niente facile: cercherò di riassumere le imprese più famose, gli imbrogli, le famosissime spedizioni di Amundsen e Nobile e le più recenti avventure per raggiungere il Polo Nord a piedi.

 

 

 

Frederick Cook e Robert Edwin Peary

Settembre 1909: il San Francisco Chronicle riporta in prima pagina la spedizione di Frederick Cook e la sua “conquista del Polo Nord”.

 

 

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Cook dichiara ai giornali di tutto il mondo di aver raggiunto il Polo Nord il 21 aprile dell’anno precedente, il 1908, insieme a due guide Inuit: Ahwelah e Etukishook.

La storia di Cook arriva solo cinque giorni dopo che un altro esploratore, Robert Edwin Peary, ha annunciato di aver conquistato a sua volta il Polo Nord il 6 aprile 1909 insieme al suo dipendente Matthew Henson e quattro guide Inuit: Ootah, Seegloo, Egingway e Ooqueah.

Ma chi sono questi due uomini e chi ha davvero raggiunto per primo il Polo Nord?

429px-Robert_Edwin_PearyPeary è un vero esploratore della Marina statunitense che ha dedicato buona parte della sua vita al raggiungimento di un traguardo impossibile: raggiungere, appunto, il Polo Nord.

Intraprese fin dal 1886 svariate spedizioni in Groenlandia e nel Canada settentrionale dove apprese le tecniche di caccia, pesca, abbigliamento e viaggio degli eschimesi (qui a destra lo vediamo nel 1909)

È nel 1909 che la sua ottava spedizione verso il Polo lo porta al dichiarato successo: il 6 settembre da un ufficio telegrafico di Indian Harbor (Labrador) annuncia al New York Times la conquista del Polo Nord.

Peary dichiarò di aver raggiunto il Polo Nord il 6 aprile

Peary dichiarò di aver raggiunto il Polo Nord il 6 aprile e di esserci rimasto circa 30 ore insieme al suo assistente e alle guide Inuit che li accompagnavano.

Solo pochi giorni dopo un altro esploratore dichiara di aver raggiunto il Polo un anno prima di Peary: è Frederick Cook.

Cook è un furbacchione

Per niente nuovo alla frode e alle “false imprese”, Cook aveva già dichiarato anni prima di aver scalato la montagna più alta del Nord America (poi smentito) e aveva commesso varie frodi in giro per gli Stati Uniti.

Nonostante tutto questo viene creduto e i giornali americani riportano per giorni la sua impresa in prima pagina, affamati di grandi avventure da raccontare.

 

 

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Ad inizio novecento sono gli esploratori infatti i beniamini dei giornali: allora come oggi la non verifica delle fonti e dell’attendibilità di certi proclami fanno si che finte notizie si diffondano con una facilità impressionante e Cook diventa in poco tempo “il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord”.

La verifica di certi proclami era tutto meno che facile.

La diatriba tra Peary e Cook andrà avanti e riempirà le pagine dei giornali per anni e anni: la verifica di certi proclami era, come è facilmente intuibile, tutto meno che facile.

Sono gli Inuit che accompagnavano Cook alla fine a fare chiarezza sulla spedizione: dichiarano di non aver mai raggiunto il Polo, di aver viaggiato per giorni verso sud e non verso nord e di non aver mai abbandonato la vista della costa.

Cook è sbugiardato davanti al mondo intero

Cook è sbugiardato davanti al mondo intero e Peary può tirare un sospiro di sollievo.

L’irresponsabilità dei giornali dell’epoca fu fomentata dalla sete di notizie sensazionali, così allora come oggi.

Irresponsible newspapers popularized Cook’s claim because sensational news sold newspapers. Peary immediately called Cook a liar, which was absolutely true. The public knew little about the arctic and some thought Peary was not being a gentleman.

However, many experts openly stated their disbelief that Cook was telling the truth. To its credit The New York Times balanced what The Herald was printing with factual information from responsible sources.

via polarcontroversy.com

 

CONfession300Cook sparì dalla circolazione per un anno e poi ricomparse ancora sulla stampa: visto che gli servivano soldi vendette la sua confessione all’Hampton’s Magazine e concluse nell’infamia la questione.

A questo punto Peary fu finalmente dichiarato ufficialmente dal Congresso Americano il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord, ricevete il Thanks of Congress e fu promosso Ammiraglio.

Lo storico Fergus Fleming scrisse che Peary fu «senza dubbio il più determinato, forse il più fortunato e probabilmente il più indisponente degli esploratori polari», ma il dubbio sulla sua reale conquista del Polo Nord rimase a moltissimi esploratori e scienziati dell’epoca.

Alcuni dei critici di Peary ritenevano che egli credesse in buona fede di aver raggiunto l’obiettivo senza però esserci riuscito davvero.

 

Peary e i suoi accompagnatori Inuit in quello che dichiararono essere il Polo Nord Peary e i suoi accompagnatori Inuit in quello che dichiararono essere il Polo Nord

 

Fu l’esploratore inglese Wally Herbert il primo a contestare nel 1989 l’impresa di Peary: studiando i diari di viaggio si accorse come fossero pieni di discrepanze e dichiarò che Peary non raggiunse mai davvero il Polo Nord.

Nel 2005 un altro esploratore inglese, Tom Avery, cercò di ricreare l’impresa di Peary per dimostrarne la veridicità: ricostruì insieme al suo team le stesse slitte in legno usate dall’americano e raggiunse il Polo Nord in 36 giorni e 22 ore: cinque ore meno di Peary.

l’impresa di Peary era quindi finalmente confermata?

I critici fecero notare che la marcia di Avery era stata di “sole” 90 miglia contro le 135 dichiarate da Peary. Il caso era ancora aperto.

Avery scrisse:

The admiration and respect which I hold for Robert Peary, Matthew Henson and the four Inuit men who ventured North in 1909, has grown enormously since we set out from Cape Columbia.

Having now seen for myself how he travelled across the pack ice, I am more convinced than ever that Peary did indeed discover the North Pole.

 

L’ultimo ad aver cercato di smentire l’impresa di Peary è stato, nel 2009, E. Myles Standish del California Institute of Technology, specializzato proprio nella verifica di casi simili.

Standish trovò a sua volta svariate lacune e inconsistenze nei diari e dichiarazioni di Peary e pubblicò un lungo articolo che, di fatto, toglie ancora una volta il titolo di primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord a Robert Peary.

Peary arrivò a poche miglia dalla sua destinazione, ma non la raggiunse mai.

Ad oggi la tesi più condivisa a proposito dell’impresa di Peary è che l’esploratore pensasse davvero di aver raggiunto il Polo Nord, ma che in realtà ci si avvicinò solamente: arrivò a poche miglia dalla sua destinazione, ma non la raggiunse mai.

L’esploratore americano era l’unico esperto di cartografia della spedizione e i suoi compagni di impresa non poterono mai confermare o smentire davvero di aver raggiunto il Polo.

Alla domanda “ha mai raggiunto con successo il Polo Nord?” Peary rispose con un enigmatica e storica frase:

I can’t say that I didn’t.

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Questo è il primo articolo di una serie dedicata alla conquista del Polo Nord, continuate a seguirci per non perdere i prossimi.

 

 

Se l’argomento vi ha interessato, su Lega Nerd abbiamo già parlato della Conquista del Polo Sud.

 

 

La Conquista del Polo Nord: Frederick Cook e Robert Edwin Peary è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd.

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Altri articoli dello stesso autore: itomi

SpaceX rilascia le sue foto in Creative Commons

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Dopo pressanti richieste da parte di entusiasti amanti dello spazio, Elon Musk ha deciso di rilasciare le foto relative ai progetti spaziali sotto licenza CC, per scopi non commerciali.

Seguendo quindi la linea tracciata dalla NASA, sono state pubblicate su Flickr circa un centinaio di foto, con l’intento di spingere le persone a guardare allo spazio da pionieri e non da piccoli esseri sperduti nel nulla.

 

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Good guy Elon, sei sempre il migliore.

 

SpaceX rilascia le sue foto in Creative Commons è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd.

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11 anni di Opportunity su Marte

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La NASA ha pubblicato un time-lapse basato sulle foto prese dal Rover Opportunity, racchiudendo in 8 minuti ben 11 anni di fotografie scattate negli oltre 42Km percorsi dal piccolo robottino.

Secondo voi, possiamo catalogarla come la prima Maratona Marziana? (quella olimpica è di 42,195Km)

 

 

11 anni di Opportunity su Marte è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd.
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A caccia di Materia Oscura

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Tra meno di 24 ore verrà lanciata il primo satellite cinese in grado di studiare uno dei misteri più grandi del nostro Universo: la materia oscura.

Nulla a che vedere con la fantascienza, questa massa è ciò che permette la rotazione delle galassie, ma ad oggi è completamente invisibile ai nostri strumenti.

 

 

Il progetto cinese, in collaborazione con l’INFN e le Università di Perugia, Bari e Salento, cercherà di svelare il mistero della materia oscura.

La materia oscura rappresenta il 90% della materia dell’intero Universo e non abbiamo idea di cosa sia. La materia che possiamo vedere tutti i giorni, il Sole, le stelle e le intere galassie rappresentano solo un 5% di quello che veramente è contenuto nell’Universo. Il resto è qualcosa di invisibile, la cui natura, ad oggi, è solo affidata a ipotesi.

Il vuoto dell’Universo, probabilmente, è più affollato di quanto pensiamo e presto scopriremo da cosa è composta questa misteriosa e sfuggente compagna oscura.

 

A caccia di Materia Oscura è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd. L’utilizzo dei testi contenuti su Lega Nerd è soggetto alla licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Altri articoli dello stesso autore: NewsBot5

Top 10 Scienza 2015

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TOP10_SCIENZA

Il 2015 volge al termine ed è il momento di ricordare le principali scoperte  scientifiche giunte alla ribalta dei media. Molte altre importanti scoperte non rientrano in questa classifica, ci siamo limitati a selezionare le principali notizie che hanno stupito e fatto discutere l’opinione pubblica negli ultimi 365 giorni.

Science!

 

 

 

L’esplorazione di Plutone

New Horizons, la sonda spaziale NASA lanciata nel 2006, raggiunge Plutone dopo un lungo viaggio esplorando per la prima volta la superficie del pianeta nano ai confini del Sistema Solare. Perchè per noi Plutone, anche se piccolino, è un pianeta a tutti gli effetti!

 

 

 

 

Gli insaccati causano il cancro

La carne processata provoca il cancro. L’IARC (International Agency for Research on Cancer) inserisce in categoria 1 le carni lavorate. Anche la carne rossa finisce nel mirino, anche se con formula dubitativa in attesa di ulteriori ricerche.

 

meat delicacies

 

 

 

Una seconda Terra ad anni luce da noi?

Il telescopio spaziale Kepler scopre un pianeta che potrebbe ospitare la vita a circa 1400 anni luce dalla Terra. I dati sono ancora pochi per definirlo una “seconda Terra”, ma se volete incamminarvi sappiate che alla velocità della sonda Voyager (61.000 km/h) ci mettereste circa 26 milioni di anni per raggiungere la meta.

 

 

 

 

Un vaccino per il Virus Ebola

Dopo la terribile epidemia di ebola del 2014, la più estesa mai registrata, un test clinico di un nuovo vaccino in Guinea ha dato, come risultato preliminare, il 100% di efficacia. Se il dato venisse confermato si farebbero enormi passi avanti per limitare e debellare una piaga che ha duramente colpito la popolazione africana negli ultimi decenni, con buona pace degli antivaccinisti.

 

 

 

 

Record Ciclonici

L’uragano Patricia diventa il ciclone tropicale più intenso mai registrato nell’emisfero occidentale con venti a 325Km/h. Questo uragano è considerato tra i più intensi mai registrati nella storia.

 

 

 

 

Nuovi parenti, nuovi parenti ovunque…

Viene descritta una nuova specie intermedia tra Australopiteco e Homo. Il nostro vicino parente si chiama Homo Naledi, ma potete anche non invitarlo al pranzo di Natale… anche perchè dalla ricostruzione non sembra molto socievole.

 

 

 

 

Radiografie al centro della Galassia

Un fascio di raggi X 400 volte più intenso dei precedenti viene registrato nella zona centrale della nostra galassia. Questo suggerisce un’ulteriore conferma che al centro della Via Lattea sia presente un buco nero supermassiccio.

 

 

 

 

Buone notizie per i fidanzati “poracci”

È stata scoperta una nuova forma allotropica del carbonio: il Q-Carbon. Questa sostanza dal costo contenuto e di facile preparazione sembra essere, dai dati preliminari, più dura del diamante. Se questo fosse confermato il Q-Carbon sarebbe il nuovo materiale più duro al mondo.

 

 

 

 

A cavallo di una cometa

La sonda Rosetta, atterrata nel 2014 sulla cometa 67P, continua a scoprire i segreti di questa misteriosa montagna in viaggio intorno al Sole.

 

 

 

 

Fa caldo, troppo caldo

Nuove conferme sul riscaldamento globale. Il 2014 è stato l’anno più caldo come media globale e le previsioni lasciano pensare che il 2015 non sia stato da meno. Il riscaldamento del clima mondiale avanza a ritmi preoccupanti.

 

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Webb, il più grande telescopio spaziale mai costruito

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Quando il telescopio spaziale Hubble fu messo in orbita nel 1990, le immagini dello spazio che ci circonda cambiarono completamente aspetto. Fu come aprire una nuova finestra rimasta chiusa fino ad allora. Oggi le cose stanno di nuovo per cambiare grazie al telescopio spaziale Webb.

Il più grande telescopio spaziale mai costruito

Ci sono delle volte in cui, leggendo dei progetti, vien da commentare “Se vabbeh” ed è quello che molti avranno pensato quando a metà degli anni novanta venne annunciato il progetto del più grande telescopio spaziale mai costruito. Hubble è un telescopio che orbita intorno alla terra a circa 500 km di quota con uno specchio unico da 2,4 m, Webb sarà qualcosa di incredibile: uno specchio da 6,5 m posizionato a 1,5 milioni di km dalla Terra. Il funzionamento del telescopio potrà avvenire solo ad una temperatura di 40 gradi sopra lo zero assoluto e per garantire la protezione dai raggi solari avrà in dotazione uno scudo termico. Vista la distanza non sarà possibile montarlo poco alla volta quindi tutto dovrà riuscire al primo colpo, con un solo lancio previsto nel 2018.

 

Il nuovo telescopio costerà circa 9 miliardi di dollari

Non è solo un’opera scientifica e tecnologica di incredibile portata, anche il prezzo è tutt’altro che banale: quasi 9 miliardi di dollari. Una cifra che negli anni ha scoraggiato diverse volte i finanziatori e lo stesso Congresso degli Stati Uniti. Attualmente il cuore del nuovo telescopio si trova in delle grosse pentole a pressione con una pressione di 10 miliardesimi quella terrestre e a -250°C per testare la resistenza dello strumento nelle condizioni alle quali dovrà lavorare tra qualche mese.

 

 

Per progettare e costruire il telescopio spaziale Webb sono state inventate 10 nuove tecnologie.

Nessuno aveva mai realizzato tecnologie simili in grado di funzionare in quelle condizioni. Per progettare e costruire il telescopio spaziale Webb sono state inventate 10 nuove tecnologie. Il grosso specchio registrerà la luce infrarossa proveniente dai confini dell’universo, dalle prime galassie, dei sistemi solari in formazione e degli esopianeti con una risoluzione mai sperimentata prima d’ora.

Molte cose possono ancora andare storte,

soprattutto il trasporto che sarà effettuato prima via terra, ad una velocità di 8 km/h e poi verrà spostato in varie parti degli Stati Uniti via aereo e poi, infine, via nave per completare tutti i test.

 

Oltre 6 metri di specchi a 1,5 milioni di km dalla Terra

Dopo il decollo, una volta nello spazio, nessuno potrà più andare a riparare un eventuale guasto o danno provocato durante la costruzione, quindi tutto deve essere perfetto e non è un’impresa facile. Lavorare a 40 gradi dallo zero assoluto richiede una resistenza enorme da parte dei materiali e lo stesso specchio, costruito a temperatura ambiente, assumerà una forma diversa nello spazio. Quindi oggi si costruiscono geometrie sbagliate che diventeranno quelle corrette nelle condizioni operative e questo richiede un grossissimo sforzo di simulazione dove gli errori si contano sulla scala dei nanometri.

Rimaniamo sintonizzati sui prossimi sviluppi di questo ambizioso progetto ormai in dirittura di arrivo e aspetteremo con emozione il 2018 per poter avere in anteprima le immagini in HD dei corpi celesti più antichi e lontani da noi.

 

Chissà quali incredibili sviluppi avrà la tecnologia di tutti i giorni grazie allo sviluppo tecnologico implementato per creare Webb

 

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Breakthrough Initiatives, miliardari e scienziati uniti per esplorare l’universo

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La Breakthrough Initiatives annuncia un programma da 100 milioni di dollari per esplorare l’universo con navicelle in grado di raggiungere velocità relativistiche. Le stelle potrebbero non essere più così lontane?

la Breakthrough Initiatives ad una trasposizione nella realtà dell’unione tra WayneCorp, Oscorp e Stark Enterprises

Breakthrough Initiatives è un’associazione fondata nel 2015 dai miliardari Yuri e Julia Milner per esplorare l’universo alla ricerca di altre forme di vita. Insieme a loro si sono uniti due nomi illustri: Stephen Hawking e l’onnipresente Mark Zuckerberg. Ci sono tutte le premesse per paragonare la Breakthrough Initiatives ad una trasposizione nella realtà dell’unione tra
WayneCorp, Oscorp e Stark Enterprises.

 

I progetti derivanti da una collaborazione di questa portata non possono che essere letteralmente galattici.

 

Un miliardario russo, l’inventore di Facebook e il più famoso scienziato vivente uniti per un progetto stellare

La Breakthrough Initiatives l’anno scorso aveva finanziato con 100 milioni di dollari il programma SETI per la ricerca di segnali radio provenienti da civiltà. Non potendo attendere la conclusione della ricerca, i nuovi pionieri dell’esplorazione spaziale hanno stanziato altri 100 milioni di dollari per la costruzione di navi spaziali super veloci.

 

 

Breakthrough Starshot è il nome altisonante del progetto

Breakthrough Starshot è il nome altisonante del progetto che prevede la costruzione di nanocrafts (tradotto sarebbe nanonavi o nanovascelli e fa un po’ schifo) in grado di raggiungere velocità pari al 20% della luce. Se sembra poco ambizioso, una velocità del genere permetterebbe di raggiungere Plutone in 3 giorni e Proxima Centauri in meno di 20 anni. Attualmente per raggiungere la stessa stella servirebbero circa 20 mila anni!
Il trucco proposto dalla Breakthrough Initiatives è quello di costruire delle navi molto piccole che, pesando pochi grammi, possano essere sparate nello spazio da una fascio laser molto potente. I nanocrafts sarebbero dotati di sistemi molto semplici, ma in grado di raccogliere dati e analizzare l’ambiente circostante. Il progetto sembra ambizioso, ma non così irrealizzabile se si pensa ai progressi fatti fino a raggiungere le funzionalità dei moderni smartphone.

 

Nanocraft a velocità relativistica spinti da laser potentissimi

Se vi sembra che la stiano facendo troppo semplice…avete ragione. Il progetto, anche se teoricamente è fattibile, ha diverse lacune tecnologiche che, promettono i miliardari, saranno colmate dalla ricerca come è avvenuto quando siamo andati sulla Luna.
Il dettaglio che sembra che tutti si siano dimenticati è che oggetti così piccoli difficilmente avranno la potenza sufficiente per comunicare da Proxima Centauri fornendoci i dati raccolti. Considerato che sicuramente non avranno mai alcun modo per fare ritorno a “casa”, i nanocraft dovranno inviare immagini, analisi e misurazioni attraverso miliardi e miliardi di km,

ma dove troveranno l’energia e la potenza sufficiente per riuscirci?

Per ora non abbiamo risposta a questa domanda e probabilmente nemmeno Breakthrough Initiatives ha idea di come risolvere il problema.

Sicuramente è positivo che miliardari e scienziati avanzino verso obiettivi comuni, anche se, questa volta è il caso di dirlo, ci sarebbero ricerche molto più concrete e vitali per il nostro pianeta che meriterebbero quei finanziamenti.

 

 

 

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Spazio: scoperta nuova galassia vicino alla Via Lattea

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La nostra galassia, la Via Lattea, ospita tra i 100 e i 400 miliardi di stelle ed è solo una delle centinaia di miliardi di galassie esistenti nell’universo visibile. La nostra è considerata una galassia gigante, ma intorno a noi orbitano tante altre galassie minori. Proprio in questi giorni ne è stata scoperta una nuova.

Da diversi anni si sa che in questa zona dell’universo abbiamo parecchia compagnia. La nostra galassia infatti è piuttosto grande ed ha intorno a se altre galassie minori che le orbitano intorno.

Ad oggi sono note oltre 20 galassie minori orbitanti intorno alla Via Lattea e da qualche giorno una nuova compagna si è aggiunta all’elenco.

Crater 2 dwarf è una galassia nana scoperta pochi giorni fa dall’Università di Cambridge

Crater 2 dwarf è una galassia nana scoperta pochi giorni fa dall’Università di Cambridge e, nonostante sia sfuggita fino ad oggi all’avvistamento, è la quarta galassia nana più brillante tra quelle orbitanti intorno alla Via Lattea. Per quanto sia considerata una galassia minore, Crater 2 Dwarf ha un diametro di 7000 anni luce ed una lumosità 160 mila volte superiore a quella del Sole. Si trova a ben 380 mila anni luce da noi, una distanza talmente grande da essere difficile da immaginare, ma nonostante questo risulta una galassia satellite della nostra.

 

 

Insieme alla nuova arrivata, intorno alla Via Lattea orbitano altre galassie minori come la Galassia del Sagittario e le due Nubi di Magellano. Queste ultime, nonostante i 200.000 anni luce di distanza da noi, subiscono l’influenza della gravità della Via Lattea e sono quindi unite a noi con un infinito ponte di materia lungo circa 600.000 anni luce.

Per tutte queste galassie, però, il destino spesso segnato: finiranno per fondersi con la Via Lattea o venir consumate da essa fino a scomparire. Alcuni studi suggeriscono che, per alcune galassie minori, la situazione potrebbe rimanere statica per tempi indefiniti, quindi le fusioni galattiche non sono certo un problema di cui preoccuparsi, almeno per quanto riguarda il nostro sistema solare.

 

Al di là di questo “cortile” si trova l’Ammasso Locale

Rimane affascinante immaginare la vastità del panorama descritto e della ricerca nuovi oggetti che, nonostante le distanze immense, rappresentano il nostro cortile. Al di là di questo “cortile” si trova l’Ammasso Locale, un insieme di galassie vicine e paragonabili alla nostra, composto dalla Galassia di Andromeda e dalla Galassia del Triangolo più altre 70 galassie minori…

e questo è sono il nostro quartiere… uno dei tanti presenti nell’universo osservabile.

 

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Falcon 9 atterra sull’acqua, di nuovo

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Per la seconda volta in poche settimane, SpaceX riesce a far atterrare un suo razzo per la seconda volta su una piattaforma galleggiante. Il Falcon 9 era già riuscito nell’impresa storica all’inizio di Aprile 2016 e dopo questa prova ha dimostrato che non si è trattato di una fortunata coincidenza.

La SpaceX, azienda a cui fa capo Elon Musk, è riuscita di nuovo a scrivere la storia.

La SpaceX, azienda a cui fa capo Elon Musk, è riuscita di nuovo a scrivere la storia. Nel 2015 era riuscita, per la prima volta, a far atterrare un razzo sulla terraferma e solo qualche settimana fa, agli inizi di Aprile 2016 l’impresa era stata ripetuta su una piattaforma galleggiante. Se i pessimisti pensavano si fosse trattata della classica fortuna, oggi possiamo dire che non è così.

 

 

Il Falcon 9 è atterrato nelle scorse ore, per la seconda volta, sulla piattaforma galleggiante dimostrando che l’obiettivo di abbattere i costi dell’invio di materiali in alta atmosfera non è un’utopia. Il razzo trasportava un satellite giapponese per le comunicazioni.

 

L’invio di rifornimenti nella spazio con costi contenuti non è più un’utopia

Prima di SpaceX e del loro progetto, i razzi erano monouso e dovevano essere ricostruiti da zero dopo ogni lancio. La possibilità di riutilizzare buona parte delle componenti ricorrendo solo a della manutenzione post-atterraggio permette di abbattere decisamente i costi, inoltre la possibilità di atterrare in mare diminuisce anche il consumo di carburante.

 

Entro il 2018, SpaceX prevede di mandare una capsula Dragon su Marte

Il CEO di SpaceX, Elon Musk, ha scherzato su Twitter dicendo che è arrivato il momento di ampliare il loro hangar per razzi. Speriamo che non sia solo una battuta e che presto l’utilizzo dei Falcon 9 possa aprire nuovi orizzonti non solo nell’invio di materiale in orbita, ma anche nell’esplorazione del sistema solare. Entro il 2018, SpaceX prevede di mandare una capsula Dragon su Marte utilizzando uno dei loro razzi opportunamente modificato.

 

Riusciranno a scrivere la storia ancora una volta?

#staytuned

 

 

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Basta cospirazioni! Online oltre 10.000 foto della missione Apollo

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C’è chi ha detto che andare sulla Luna è stato un grande passo per l’umanità, chi ad oggi ritiene che sia tutto una bufala e, ancora, chi ritiene che sia stato Stanley Kubrick a dirigere la regia del finto allunaggio. Per quanto possano essere convinti i sostenitori dell’esistenza di un complotto per simulare l’arrivo dell’uomo sulla Luna, sono oltre 10.000 le foto scattate all’epoca e ora disponibili online.

Era il 20 luglio del 1969 quando il comandante Neil Armstrong e Buzz Aldrin misero piede per la prima volta nella storia dell’uomo sulla Luna. La missione, che faceva parte del progetto Apollo, è stato il culmine della corsa allo spazio che da anni vedeva in concorrenza USA e URSS.

Nonostante l’evento sia stato seguito in diretta da ogni parte del mondo, ancora oggi molte persone non conoscono i dettagli e il fascino dell’impresa compiuta.

 

Sono riusciti ad ottenere e pubblicare tutte le immagini archiviate 50 anni fa.

Il Progetto Apollo ha pubblicato su Flickr oltre 10.000 immagini originali a 1080 dpi testimonianti tutti i passi della corsa allo spazio. Il Progetto Apollo è un’iniziativa di privati supportata NASA. Sono riusciti ad ottenere e pubblicare tutte le immagini archiviate 50 anni fa. Il fascino delle immagini parla da solo, alla faccia degli scettici e dei complottisti.

 

 

 

 

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La spedizione di Lewis & Clark

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Secoli di sviluppo urbano hanno dominato il periodo successivo alla scoperta del continente Americano, portando inevitabilmente ad una occupazione sempre maggiore delle vaste terre del nuovo continente, che nel 1800 risultavano ancora inesplorate. Numerose spedizioni da parte di Statunitensi, Inglesi e Spagnoli permisero di scoprire tutti i segreti e i confini di questa nuova terra e la prima di queste ad arrivare sino all’orizzonte del Pacifico prende il nome di Spedizione di Lewis & Clark.

 

Sotto il segno dei lumi

Gli Stati Uniti d’America erano sotto la guida del loro terzo presidente Thomas Jefferson quando la spedizione con protagonisti Meriwether Lewis (a destra) e William Clark (in basso) partì con lo scopo di individuare e classificare le biodiversità della flora e della fauna, studiare le tribù nel Nord America e determinare la presenza dei cacciatori di pelli Franco-Canadesi nei territori inesplorati.

La spedizione sembra avere un pretesto puramente scientifico e antropologo e infatti questo risulta vero, ma non a caso la spedizione di Lewis and Clark, impostata sullo studio del territorio e delle tribù venne finanziata successivamente alle informazioni che Jefferson aveva acquisito nelle corti francesi, quando nel 1785 vestiva i panni di Ambasciatore Statunitense a Parigi.

Jefferson a Parigi scoprì qualcosa di importante riguardo ad una certa spedizione che Luigi XVI di Francia stava realmente pianificando, i cui scopi erano la ricerca scientifica e l’esplorazione, ma pensò bene di preoccuparsi e di ipotizzare altre ragioni per cui una spedizione francese così impegnativa, costosa e importante stesse per partire con un movente che suonava poco proficuo in termini economici, ma fortunatamente per lui la spedizione andò in malora.

Infatti, nel 1788 le fregate del capitano Jean Baptiste La Pérouse si infransero contro le scogliere dell’isola di Vanikoro, in Australia, dove il capitano e gran parte del suo equipaggio perse la vita. Sebbene le motivazioni alla base di questa spedizione, sulla carta erano di natura scientifica, in realtà uno dei principali obiettivi era quello di cercare un’intesa commerciale in Cina e di esplorare i luoghi precorsi da James Cook, come il famoso passaggio a Nord-Ovest, di cui il sovrano francese era molto affascinato.

Nei viaggi successivi all’epoca illuminista, il dispotismo illuminato ha dato vita ad una mutazione dell’equipaggio tipico di un imbarcazione rispetto a quelle in uso nel secolo precedente:

 la milizia cede il posto a geologi, botanici e cartografi definendo così, delle vere e proprie spedizioni in nome del sapere.

 

 

Corps of Discovery

Nonostante Jefferson fosse in apprensione e considerava la spedizione francese una minaccia, sapeva bene che una missione di questo tipo fosse tanto rischiosa quanto preziosa.

Nonostante Jefferson fosse in apprensione e considerava la spedizione francese una minaccia, sapeva bene che una missione di questo tipo fosse tanto rischiosa quanto preziosa. Vi erano troppi ostacoli per la strada che avrebbero impedito di attraversare comodamente il continente da costa a costa: i francesi confinavano direttamente con il territorio delle colonie americane, mente sul versante del pacifico vi erano gli spagnoli ed era certo che entrambi non avrebbero permesso l’accesso. In aggiunta con ovvie ragioni anche le tribù indiane rappresentavano un impedimento, sì variabile ma effettivamente presente, imprevedibile e dislocato su tutto il territorio.

In Europa, Francia, Spagna e Inghilterra si davano battaglia e nel 1796 la Francia appoggiò la Spagna in un’alleanza offensiva e difensiva, ma tutto questo ebbe un costo. Infatti nel 1800, con il trattato di Ildefonso, la Spagna accontento Napoleone che fissò il prezzo dell’alleanza con il territorio della Louisiana. Carlo IV, sovrano spagnolo, considerava la potenza crescente degli Stati Uniti una minaccia e per questo acconsentì al passaggio del territorio solo a condizione che non fosse successivamente ceduto a terzi.

Tutto sembrava essere in stallo quando nel 1803, dopo diversi anni di trattativa, l’impero francese intavolò un accordo con gli Stati Uniti per la cessione della Louisiana.

L’operazione si portava avanti già dal 1801, ma inizialmente le idee di Jefferson si limitavano all’acquisto della città portuale di New Orleans per la cifra di 10 $ milioni di dollari, ma in seguito alle campagne imperiali di Napoleone in Europa, la Francia dovette cambiare i piani di sviluppo limitandosi sui domini del vecchio contenente, in quanto sostenere il costo delle colonie non era più una scelta sostenibile.

In conclusione, gli Stati Uniti acquisirono per soli 15 milioni di dollari un territorio vasto due volte quello delle tredici colonie.

In conclusione, gli Stati Uniti acquisirono per soli 15 milioni di dollari un territorio vasto due volte quello delle tredici colonie. Nonostante l’indubbio valore strategico e territoriale dell’acquisto, che permetteva di spodestare gentilmente un nemico storico delle campagne di colonizzazione, Jefferson fu screditato per la scelta fatta, ritenuta anti-costituzionale in quanto sanciva che l’acquirente non stesse più rivendicando un diritto naturale di appartenenza su quei territori, ma bensì economico.

 

Il territorio della Louisiana ceduto dalla Spagna alla Francia e poi nel 1803 acquistata dagli Stati Uniti.

 

Dopo il 1803 i confini sono stati modificati, le mappe aggiornate e tra i nemici si contava qualche testa in meno. Questo permise agli Stati Uniti di allungare lo sguardo più di quanto non avesse mai fatto prima. In poco tempo Jefferson organizzò e finanziò delle squadriglie con l’obiettivo comune di espansione e ricerca verso la costa a ovest.

Tra gli ufficiali scelti risultava il nome di Lewisincaricato di condurre il gruppo noto in seguito come Corps of Discovery , in seguito Lewis chiese a Clark di entrare a far parte del gruppo. I due si conoscevano bene, infatti condivisero parte della carriera militare che portò Lewis fino al grado di capito, mentre Clark fino a quello di luogotenente, ma Lewis per l’intera spedizione si rivolse a lui con l’appellativo di Capitano.

 

 

Mappa relativa al viaggio creata da Lewis e Clark

 

 

Finalmente In Viaggio

Abbiamo lasciato Pittsburgh oggi alle 11:00 con un gruppo di 11 uomini, 7 dei quali sono soldati, un pilota e tre giovani in fase di addestramento che si sono offerti di venire con me durante il viaggio.

Meriwether Lewis

 

Quel giorno lì era il 31 di Agosto del 1803 e con questa frase Meriwether Lewis da inizio al  suo diario di viaggio con il quale fortunatamente si confidò molto spesso, lasciando così traccia di innumerevoli informazioni. Il punto di partenza del viaggio si riconduce alla foce del fiume Dubois, sul lato est del Mississipi, anche se l’inizio del viaggio effettivo comprende anche il lasso di tempo necessario a raggiungere la foce, ovvero include i due mesi impiegati a costeggiare il fiume Ohio.

Questo punto della spedizione è uno dei più importanti perché si va a formare il corpo di esplorazione, si aggiungono quindi i 9 giovani volontari del Kentucky e non da meno avviene l’incontro tra Lewis e Clark. Dopo un periodo di ulteriore arruolamento, addestramento e sviluppo la compagnia conta ben 31 elementi e il 14 di Maggio del 1804 inizia ufficialmente la marcia. Di li a poche settimane raggiunsero il confine della Louisiana, entrando di fatto in territorio ostile. La presenza di vaste pianure, bisonti e alci ha confermato le supposizioni di Lewis: si erano ormai addentrati nel territorio dei Sioux.

 

 

In tutta la durata del viaggio incontrarono diverse tribù appartenenti alla famiglia Sioux: gli Yankton, i Lakota, i Mandan, i Shoshoni,Piedi Neri e infine i Crow.

Alcuni come gli Yankton risultarono cordiali e pacifici, mentre altri come i Lakota quasi iniziarono un conflitto che fu evitato seguendo un diverso percorso. Proseguirono verso ovest risalendo il fiume dove poi si decise di accamparsi per l’inverno.

 

Proprio qui nell’inverno 1804-05 venne costruito Fort Mandan dove il gruppo rimase imprigionato senza cibo a causa di un nubifragio. Fortunatamente furono salvati dalla nativa americana Sacajawea e suo marito Toussaint Charbonneau, i quali portarono loro cibo necessario a sfamarsi.

Di fondamentale aiuto si rivelò Sacajawea, infatti, grazie ai suoi legami di sangue con il capo tribù dei Shoshoni le trattative per il passaggio sul territorio furono agevolate. Inoltre la sua presenza e quella di suo figlio neonato consentirono di evitare qualsiasi scontro con altre tribù indiane, grazie al rispetto che questi nutrivano per la presenza di una donna e di un bambino.

 

Lewis e Clark sul fiume Columbia – dipinto di C.M.Russell

 

A questo punto il cammino cominciò ad essere faticoso, le praterie scomparvero dietro l’ombra di montagne a cui seguirono corsi di fiumi e rapide. Arrivati nei pressi dell’attuale Oregon, Lewis avvistò il monte Hood, famoso per essere vicino all’oceano e una volta giunti in prossimità della costa dovettero affrontare un nuovo gelido inverno. Si accamparono in quello che è conosciuto come Fort Clatsop dove iniziarono a fare i preparativi per il ritorno che avvenne nel 1806.

Anche nel percorso intrapreso per il ritorno a casa vi furono incontri con diverse tribù che cercarono di derubare il gruppo, che lo portò a dividersi e ad affrontare conflitti con i nativi. Lewis e Clark si ritrovarono, dopo un mese di assoluto distacco dove il fiume Missouri convoglia con lo Yellowstone. La spedizione si concluse ufficialmente il 23 settembre del 1806.

Durante il viaggio il Corpo di esplorazione osservò, raccolse e catalogò centinaia di piante ed animali precedentemente sconosciute alla scienza. La spedizione rappresentò il primo punto di contatto con le genti europee per molte tribù di nativi americani.

Le tribù furono oggetto di un rudimentale studio etnografico che lasciò le basi per un futuro sviluppo economico e commerciale che in seguito assicurò l’egemonia statunitense sui vasti territori interni.

L’immensa collezione della classificazione di piante, animali e mappe costituisce un patrimonio di inestimabile valore storico.

 

Non è ancora finita

In tutto questo il governo Spagnolo, grazie a delle spie nei ranghi dell’esercito americano, riuscì ad ottenere informazioni riguardo lo stato di pianificazione della spedizione, ritenendo che Lewis, che era a capo del gruppo, era troppo competente per guidare una spedizione per uno scopo secondario come quello di ricerca: non a caso Jefferson aveva raccomandato di viaggiare sempre ad alte altitudini per evitare il contatto con i nemici spagnoli.

Dopo la partenza della spedizione vennero mandati almeno quattro gruppi spagnoli per tentare di fermare l’avanzata di Lewis e Clark, tentativi dei quali i due capitani vennero a conoscenza solo alla fine del loro viaggio.

 

•••

 

La Storia in Breve è una rubrica di carattere storico che cerca di raccontare – in breve – popoli, grandi personaggi, battaglie e curiosità del mondo antico e moderno. Non dimentichiamo ciò che merita di essere conservato, ricordando salviamo il nostro passato.

 

Vorrei invitare i lettori a contribuire a questa rubrica che intendo portare avanti in maniera condivisa con chi interessato. Iscrivetevi al Lega Nerd Social Club per discutere delle nostre diverse rubriche.

 

 

La spedizione di Lewis & Clark è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd. L’utilizzo dei testi contenuti su Lega Nerd è soggetto alla licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Altri articoli dello stesso autore: Fabio Ciurlia

Abzû – Nintendo Switch Edition

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Il piccolo capolavoro di Giant Squid Studios torna dopo due anni su Nintendo Switch. Scoprite cosa pensiamo di questo porting nella nostra recensione.

In un periodo ricco di uscite di rilievo come quello di questi ultimi mesi potrebbe essere molto facile lasciarsi scappare un titolo come Abzû, specie in quell’oceano di indie dal nome di Nintendo eShop. Abzû tuttavia non è un prodotto come gli altri e si staglia dalla folla ergendosi quasi a paladino di una visione artistica e intimista del videogioco ad oggi (troppo) diluita.

L’esperienza – questo il vocabolo più appropriato – di Giant Squid Studios si appropria infatti di linguaggi musicali variegati e comunicativi, amalgamandoli con una direzione difficile da trovare altrove. Passati due anni dalla prima pubblicazione su PlayStation 4, Xbox One e PC, 505 Games pubblica questa perla anche sulla console ammiraglia di Nintendo, dando finalmente ai possessori di Switch la possibilità di apprezzare tanto ben di Dio.

Separatevi quindi per un attimo dagli infiniti affanni di Assassin’s Creed Odyssey e Red Dead Redemption 2, dalle fiamme di Spyro e dai Pokémon di Kanto; tuffatevi negli abissi di Abzû.

 

Meraviglie subaquee

Abzû non sarebbe stato assolutamente lo stesso senza le melodie di Austin Wintory.

In Abzû ci troviamo a vestire i panni di un misterioso sub, immerso in un paesaggio sottomarino a prima vista immacolato e armonico, vero e proprio inno – come tutto il gioco del resto – allo splendore organico che solo la natura è in grado di regalare. L’interazione è minima e il giocatore non è altro che uno spettatore, passivo rispetto ad affreschi stupefacenti, caratterizzati da tonalità calde, vivide e brillanti, ma spesso anche cupe e grigiastre, a seconda della particolare situazione trasposta.

Sviluppandosi sul percorso già tracciato di una narrazione grafica in costante crescendo, lo stile cromatico fluttua con scioltezza tra rossi e verdi, passando per il pallore del bianco e la densità dell’onnipresente blu marino. Nonostante questa sacrosanta esaltazione del lavoro fatto sulla direzione artistica, Abzû non sarebbe stato assolutamente lo stesso senza le melodie di Austin Wintory, autore già delle musiche di Journey e The Banner Saga.

 

 

La dicotomia tra l’ispiratissima regia visiva e la colonna sonora sorregge alla base l’intera formula, colpendo dritto al cuore con sensibilità rare non solo nel videogioco, ma persino nel vasto panorama del mondo dell’intrattenimento. La spasmodica attenzione verso flora e fauna marine risulta complementare a tappeti musicali di archi fiati, fino a toccare soluzioni sperimentali, virtuose ed ibride.

Abzû coinvolge il giocatore attraverso un’opera di sintesi sopraffine.

Il risultato di un lavoro così imponente è una fruizione a tutti gli effetti sviluppata su diverse dimensioni elaborative, coinvolgendo il giocatore attraverso un’opera di sintesi sopraffine. L’immersione negli oceani di Abzû non si riduce in ogni caso solo ad estetica e – come accennato prima – riesce a portare avanti un intreccio implicito che rimane sullo sfondo per gran parte dell’esperienza, per poi emergere – con qualche risposta – solo sul finale.

Durante le due ore/due ore e mezza necessarie al completamento veniamo infatti ad interagire con una sorta di rivisitazione della mitologia e della cultura sumerica, toccando con mano un immaginario che si propone essere una sorta di punto di contatto tra le varie civiltà umane, presenti e passate. Non mancano all’appello pure un paio di colpi di scena che – seppur prevedibili – aiutano a costruire l’atmosfera surreale di un racconto avviluppato in parecchie chiavi di lettura.

 

 

 

 

Un oceano in portabilità

Fatta dunque un’attenta disamina del gioco in sé, è ora di passare a una dettagliata analisi tecnica del porting del titolo su Nintendo Switch, inevitabilmente soggetto a qualche compromesso. I rallentamenti nel frame rate in effetti sono piuttosto comuni – in particolare nelle sequenze conclusive – e un minimo di aliasing si riesce a notare con un occhio attento.

Questo però non può certo sminuire la stupefacente resa dell’illuminazione, gestita per mezzo di un sapiente utilizzo di luce volumetrica, complessi effetti di rifrazione e shader estremamente coerenti con le scelte artistiche.

 

 

La risoluzione sia in handled, dove stiamo sui 540p, sia in dock, dove stiamo sui 720p, appare più che soddisfacente, complice una stilizzazione ben poco danneggiata da una minore definizione. Concludendo, ci sentiamo di fare una piccola critica al sistema di comandi, decisamente legnoso e anti – intuitivo, nonostante la relativa semplicità dello schema proposto.

In definitiva, Giant Squid ha messo in piedi un inno alla vita, alla natura, all’introspezione e al rispetto per ciò che ci circonda, mostrando la nostra insignificante piccolezza di fronte a certe immensità. La virtù di Abzû è la maggior dimostrazione di quanto sia ormai inesistente la sottile linea tra arte e videogioco.

Abzû – Nintendo Switch Edition è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd. L’utilizzo dei testi contenuti su Lega Nerd è soggetto alla licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Altri articoli dello stesso autore: Simone Di Gregorio

Twilight Imperium

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Dopo lunga attesa, il mastodontico gioco 4X targato Asmodee arriva a riempire i freddi pomeriggi d’inverno con strategia galattica di alto livello. Conquistate Mecatol Rex e portate a casa la vittoria!

43 centimetri di lunghezza per 5 chili e mezzo di peso. Non stiamo parlando di un neonato ben piazzato bensì delle dimensioni della scatola di Twilight Imperium Quarta Edizione. 354 unità in plastica. 454 carte. 17 razze giocabili. I numeri sono dalla parte di questo bestione ed urlano “questo gioco è cazzuto, i deboli di cuore sono pregati di tenersi a distanza di sicurezza”.

In un mondo di esperienze mordi e fuggi, dove il tempo è una risorsa preziosa, Twilight Imperium ride in faccia ai party game col suo “Durata media: 4 – 8 ore”. Chi riuscirà a superare il blocco psicologico del dedicare mezza giornata ad un gioco da tavolo, però, troverà dall’altra parte dello specchio un mondo di strategia e profondità delle scelte impossibile con altri sistemi; seguiteci in questo viaggio che ci porterà a capire perché dopo vent’anni e quattro edizioni ancora valga la pena comprare questa opera omnia.

 

La componentistica è l’esatto opposto di “minimal”

 

 

 

Pax Magnifica,
Bellum Gloriosum

Twilight Imperium è un gioco strategico 4X: eXpand, eXplore, eXploit ed eXterminate.

Twilight Imperium, descritto in breve, è un gioco strategico 4X, una sigla che va ad indicare i quattro cardini su cui si poggiano le meccaniche di gioco: eXpand, eXplore, eXploit ed eXterminate.

Da 3 a 6 giocatori potranno prendere il controllo di una fra le 17 razze giocabili, ognuna con dei bonus unici che modificano in maniera importante lo stile di gioco. Durante la partita potranno esplorare la galassia composta dalle tessere esagonali posizionate a turno dai giocatori all’inizio, con al centro la capitale dell’impero ovvero il pianeta Mecatol Rex.

 

Mecatol Rex, il centro della galassia, conosciuto anche col nome di “prova ad entrarci e giuro che salto dall’altra parte del tavolo e ti meno”.

 

All’inizio di ogni round i giocatori prenderanno ciascuno una delle otto carte strategia utilizzate sia per stabilire l’ordine di turno che per dare al possessore un’azione strategica unica per quel round. Questi bonus vanno dal ricevere segnalini comando addizionali al permettere al giocatore di controllare il commercio in tutta la galassia.

Dopo di che i giocatori si alterneranno nel muovere le loro navi spaziali tra i vari sistemi, conquistando nuovi pianeti, combattendo con gli altri giocatori o scambiando risorse con loro. Alla fine di ogni turno, inoltre, i giocatori si riuniranno nel gran consiglio per promulgare nuove leggi e delibere, che andranno ad alterare il gameplay in maniera significativa.

Quando tutti i giocatori hanno passato il proprio turno ognuno muove l’indicatore dei punti vittoria controllando se ha completato degli obiettivi nel corso del round e guadagnando i punti vittoria corrispondenti.

 

Le carte strategia in realtà sono grossi token in cartone, cosa che li rende più resistenti all’usura essendo il componente che più di tutti gira per il tavolo.

 

Il gioco continua finchè un giocatore raggiunge i 10 punti vittoria e si porta a casa la partita

Gli obiettivi spaziano dal ricercare nuove tecnologie al conquistare il sistema natale del vostro vicino, spingendo le strategie sempre in direzione diversa, e possono essere pubblici (ne vengono posizionati dieci all’inizio del gioco e vengono progressivamente rivelati al ritmo di uno per round) oppure segreti (dei quali ogni giocatore possiede uno assegnato ad inizio partita e che fornirà punti solo a lui); ogni giocatore può reclamare i punti di un solo obiettivo per tipo.

Man mano che il gioco procede, sempre più obiettivi vengono rivelati e vengono distribuiti altri obiettivi segreti, plasmando in continuazione la strategia delle diverse fazioni. Il gioco continua finchè un giocatore raggiunge i 10 punti vittoria e si porta a casa la partita.

 

 

The aliens, they are a changin

I fan di lungo corso, però, queste cose le sanno già; le meccaniche di base sono rimaste immutate rispetto alla Terza Edizione. Quando è stata annunciata la Quarta Edizione i timori erano altri: è possibile che, in vista di un’apertura ad un pubblico più ampio, venisse snaturata l’essenza stessa di Twilight Imperium?

I presupposti per un’eccessiva semplificazione per rendere fruibile anche ai casual gamer questo titolo, infatti, si erano già visti da controverso Civilization: A New Dawn, che ad alcuni dei fan più accaniti era andato di traverso a causa di un taglio netto alla complessità ed alla profondità delle meccaniche.

 

Le razze rimangono quelle storiche che accompagnano la saga da anni, come gli Emirati Hacan che ricoprono sempre il loro ruolo di khajiit dello spazio profondo.

 

Possiamo rassicurarvi: Twilight Imperium è cambiato, ma in meglio

Su questo, nostri carissimi strateghi stellari, possiamo rassicurarvi: Twilight Imperium è cambiato, ma in meglio. Ci sono diverse novità ma le principali sono cinque:

  • Tecnologie: l’albero delle tecnologie della terza edizione è stato ampiamente sfrondato e nella quarta edizione al posto di avere alcune specifiche tecnologie come prerequisito di altre basterà avere una certa combinazione di tipi di tecnologie. Ad esempio, una nuova tecnologia potrebbe richiedere tre Tecnologie Cibernetiche o due Tecnologie Militari ed una Biotica, rendendo il processo del controllare i prerequisiti molto più snello.
  • SDP e Moli Spaziali: in precedenza SDP e Moli Spaziali erano costruiti come ogni unità in termini di costo di risorse e segnalini attivazione. Ora invece vengono costruiti attraverso la carta strategia Costruzione, che permette a chi la possiede di costruirne gratuitamente fino a due su pianeti che controlla ed agli altri giocatori di fare lo stesso spendendo un segnalino strategia ciascuno.
  • Commercio: nella Quarta Edizione sono stati abbandonati del tutto i contratti commerciali, sostituiti dalla possibilità di scambiare beni tra navi di diverse fazioni presenti in sistemi adiacenti. Questi beni, una volta scambiati, potranno essere spesi per sostituire risorse o influenza in caso di bisogno.
  • Carta Strategia Imperiale: Nella Terza Edizione questa carta permetteva al possessore di guadagnare 2 punti vittoria. Nella Quarta Edizione, invece, l’abilità primaria permette di ricevere un punto vittoria se si controlla Mecatol Rex oppure ricevere un obiettivo segreto aggiuntivo; in questa maniera aumenta la flessibilità di questa carta ma al tempo stesso la rende utile se usata al momento opportuno senza nerfarla totalmente.
  • Politica: Infine, la fase di Politica. In precedenza questa fase iniziava con l’azione primaria della Carta Strategia Politica, ora invece avviene alla fine di ogni round dopo che è stato conquistato Mecatol Rex. Durante questa fase tutti i giocatori possono riattivare i propri pianeti, in modo da non dover scegliere per ognuno di essi se utilizzarli per risorse o influenza. Come nella Terza Edizione si usano le carte Delibera per votare nuove leggi nella galassia, e dopo aver votato su due di esse si riattivano ancora una volta i pianeti

Le differenze con la Terza Edizione, insomma, non vanno ad intaccare la profondità strategica di questo titolo, che rimane di altissimo spessore; piuttosto vanno a limare alcune imperfezioni che finivano per complicare inutilmente il gameplay senza aggiungere molto valore. Una cosa molto importante da tenere a mente è che la Quarta Edizione porta con sé molte delle espansioni della Terza.

Una cosa molto importante da tenere a mente è che la Quarta Edizione porta con sé molte delle espansioni della Terza.

Tutte le migliorie che con gli anni hanno reso eccezionale il gioco non sono perse e la maggioranza delle cose lasciate fuori sono, alla fine dei conti, quelle parti più macchinose che comunque negli anni han spaccato la fanbase in merito alla loro utilità. Per gli aspetti dei quali invece si sentirà la mancanza invece, conoscendo Fantasy Flight Games, potremo aspettarci un’integrazione con delle espansioni, come minimo per portare i giocatori fino ad 8.

 

Le varie tipologie di unità, ognuna unica nel suo ruolo, abilità e caratteristiche.

 

 

 

All your inserts
are belong to us

Parlare dei difetti di Twilight Imperium per me è un problema. Non è solo una questione di affetto nei confronti della saga, il vero dilemma sorge dal fatto che questo sia un gioco estremamente divisivo. La grande maggioranza dei giocatori si troverà in difficoltà, di fronte ad un prezzo non proprio abbordabile, delle dimensioni considerevoli, una gran quantità di componenti di cui tener traccia e soprattutto la durata media delle partite che oscilla tra le 5 e le 8 ore.

È difficile criticare un gioco che fa esattamente quello che i suoi fan si aspettano che faccia

Se dovessimo definire il “difetto” principale di questo gioco è che, rimanendo fedele a sé stesso, rimane un’esperienza al di fuori della portata di molti come range di prezzo, di complessità e di impegno logistico nel giocarlo; è anche vero, tuttavia, che è esattamente il motivo per cui Twilight Imperium rimane il signore incontrastato dei giochi 4x spaziali, andando ad occupare una nicchia che nessun altro gioco riesce a soddisfare in questa maniera. La vera pecca, quindi, risiede da un’altra parte; è difficile criticare un gioco perchè fa esattamente quello che i suoi fan si aspettano che faccia. Il reale difetto che ho trovato è a livello della componentistica. Non parlo delle pedine, di qualità eccezionale, o del restante materiale che è di ottima fattura.

Il vero problema è la scatola

Vorrei tanto poter incontrare chi ha progettato la scatola, abbracciarlo e sussurrargli che qualsiasi trauma abbia ricevuto in vita sua non è un motivo valido per vendicarsi così su di noi.

Quasi seicento token, di una ventina di tipi differenti da tenere separati e metti nell’inserto soltanto cinque spazi? Fortunatamente avevo a casa una vagonata di ziplock, altrimenti sistemare questo gioco sarebbe stato impossibile, e l’unboxing con annesso spedinamento ha occupato comunque un’ora e mezza.

Meglio della Terza Edizione (che era fondamentalmente una scatola vuota senza nessun tipo di divisorio), ma se consideriamo quelli gli standard da battere nel 2019 allora abbiamo ancora molta strada da fare.

 

I War Sun sono la nave più grossa del gioco ed il primo che li costruisce può costringere gli altri giocatori a riferirsi a lui col titolo di “Grand Moff Tarkin”.

 

 

 

Asmodee colpisce ancora

La decisione di consigliare o meno questo gioco dipende molto da chi ce lo chiede. Per i boardgamer appassionati al loro primo incontro col genere 4x è un acquisto da fare ad occhi chiusi. Twilight Imperium Quarta Edizione regna incontrastato come la migliore iterazione di uno dei migliori giochi di strategia e politica che siano mai stati fatti; è semplicemente LA scelta da fare per chi è interessato a questo genere.
Twilight Imperium Quarta Edizione  è semplicemente LA scelta da fare per chi è interessato al genere 4X.

I fan di vecchia data che hanno in casa la Terza Edizione si staranno domandando se valga la spesa. A voi diciamo: se siete indecisi tra il tenere la Terza Edizione o comprare la Quarta, vendete quella che avete e portatevi a casa la Quarta Edizione. Non è culto del nuovo, è semplicemente progresso; non si parla di gusti, è una versione riveduta e migliorata del gioco che già amate.

Per chi si approccia per la prima volta al mondo dei giochi da tavolo, la storia è diversa. Dovete rendervi conto che Twilight Imperium è un gioco di nicchia e che soprattutto la durata delle partite vi metterà i bastoni fra le ruote nel giocarlo. Dovete essere consapevoli che è un acquisto che al di fuori del gruppo giusto sarà difficile da intavolare, che vi darà grandi soddisfazioni ma che al tempo stesso ha una curva di apprendimento ripida; non per una difficoltà di meccaniche quanto per la vastità di scelte possibili ogni turno.

Twilight Imperium Quarta Edizione è un bestione difficile da domare, ma che per chi ne apprezza le peculiarità è un must irrinunciabile e merita di certo un posto sugli scaffali dei boardgamers più accaniti. Sempre che riescano a reggerne il peso della scatola!

 

 

Twilight Imperium è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd. L’utilizzo dei testi contenuti su Lega Nerd è soggetto alla licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Altri articoli dello stesso autore: Giacomo Trevisan

Cultistorm

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Calatevi con noi nel mondo di Cultistorm, un Kickstarter che promette di farvi vivere atmosfere che solo un Grande Antico è in grado di evocare.

H.P. Lovecraft è uno scrittore che come pochi altri ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo. Le sue visioni orribili di entità aliene che da eoni giocano con l’universo in maniera totalmente incomprensibile per noi esseri umani hanno influenzato l’opera di tanti autori che sono arrivati dopo di lui, andando a definire un filone narrativo di libri, film, videogiochi ed anche boardgames ispirati alle storie di Lovecraft ed in particolare ai miti di Cthulhu.

In particolare, quando a 70 anni dalla morte di Lovecraft sono scaduti i diritti d’autore sulle sue opere, sono fioccate decine di giochi ad ambientazione lovecraftiana, forti di una lore ben fatta e con una nutrita schiera di fan sulla quale non c’era da investire nulla in termini di licenze. Arkham Horror, Eldritch Horror, Uno studio in smeraldo, Pandemic Cthulhu, Vudulhu…ormai Lovecraft ha saturato il mercato come prima solo gli zombie erano riusciti a fare.

 

“Mi scusi, mi potrebbe dire dov’è il bagno? credo di essermi perso”

 

Cultistorm, il gioco che andiamo a provare in anteprima, è protagonista di una campagna Kickstarter inziata il 30 Aprile, si inserisce in questo mercato ultrasaturo cercando di portare delle innovazioni che lo facciano risaltare. Ci riuscirà?

 

 

DISCLAIMER
La versione che abbiamo potuto provare è un prototipo del gioco. Il regolamento è nella sua versione semi-definitiva, come i materiali. Inoltre alcuni elementi (ad esempio le miniature e la componente narrativa) non sono ancora disponibili. La nostra valutazione si basa quindi sul prototipo allo stato attuale.

 

 

 

Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn

Cultistorm è, fondamentalmente, un gioco collaborativo di controllo dell’area e gestione della mano con una forte componente narrativa. I giocatori si calano nei panni di un gruppo di investigatori in lotta contro il tempo per cercare di sigillare tutte le location dove i cultisti stanno cercano di far attraversare il velo del nostro mondo agli abomini ultradimensionali che sono i Grandi Antichi.

Nel corso della partita gli Investigatori dovranno cercare di sconfiggere i cultisti prima che si ammassino sui vari luoghi di culto e che completino il rituale. In caso i cultisti riescano nel loro intento, per gli investigatori sarà dura perchè dovranno vedersela con i Grandi Antichi in persona e come tradizione lovecraftiana insegna, è il genere di cosa che tende a non finire mai bene. La grande mappa a forma di pentacolo sintetizza tutti i luoghi dove i nostri Investigatori dovranno andare e dove si accumuleranno i cultisti.

 

La mappa montata è considerevolmente grande e tentacolosa al punto giusto.

 

I turni si strutturano in maniera abbastanza lineare:

  1. FASE DEI CULTISTI: Entra in campo un numero di cultisti predeterminato in base al numero di investigatori. Se in una qualsiasi location dovesse arrivare il cultista numero quattro per i nostri Investigatori è il momento di farsi il segno degli Antichi e caricare i fucili a pallettoni, perchè viene evocato un Grande Antico.
  2. FASE DI UPDATE: Gli investigatori pescano dal proprio mazzo azioni e lanciano il loro dado. I dadi degli investigatori hanno dei simboli che verranno conservati per tutto il turno e potranno essere utilizzati per combattere i cultisti o i Grandi Antichi nella Fase di Combattimento
  3. FASE DI TERRORE: Il segnalino Terrore avanza sul tracciato Terrore accumulando cristalli Terrore sui vari spazi. Quando ci sono abbastanza cristalli Terrore si attiva la Carta (indovinate?) Terrore corrispondente e se ne applicano gli effetti. Il nome vi fa intuire che generalmente queste conseguenze sono negative e che quando alcune carte vi costringeranno a far avanzare il segnalino sarà sempre un male.
  4. FASE PREPARAZIONE: In questa fase i nostri Investigatori dovranno attrezzarsi per gli scontri in arrivo ed avranno a disposizione una serie di azioni per cercare di ottimizzare le proprie possibilità di sopravvivenza. Le azioni sono varie e vanno dal muoversi di location in location, pescare carte oggetto, utilizzare carte supporto che aiutino i nostri compagni e così via. Non c’è limite alle azioni che ogni giocatore può compiere, però spesso esse hanno un costo in termini di sanità mentale, carte giocate o segnalini utilizzati. Importantissimo è far avanzare le abilità del nostro personaggio: una volta per turno infatti potremo decidere di potenziare le abilità uniche del nostro personaggio al costo di far comparire qualche cultista sulla mappa. È fondamentale far avanzare le abilità dei nostri personaggi perchè ciò ci permetterà di ottenere le carte Sigillo, da utilizzare per sigillare le location corrispondenti e vincere la partita. Durante questa fase bisognerà, inoltre, decidere quale investigatore affronterà quali cultisti nella fase successiva.
  5. FASE DI COMBATTIMENTO: Dopo esservi adeguatamente preparati, è ora di mandare all’altro mondo un po’ di cultisti! Per ogni location dovrete tirare un dado cultista, sommare i simboli sulla carta cultista con quello presente sul dado e sulla location. Per poter eliminare il cultista il vostro Investigatore dovrà avere tutti i simboli necessari tra le sue carte in mano, i suoi oggetti e le carte Supporto fornite dagli altri giocatori. Semplice no? Una volta eliminato il cultista potrete pescare una carta Trofeo che vi aiuterà a sigillare le location ancora aperte. Se invece vi troverete a fronteggiare un Grande Antico, siete davvero nei guai. Oltre ai loro simboli i Grandi Antichi non disdegnano pasteggiare coi loro cultisti, aggiungendo turno dopo turno i simboli dei cultisti sotto di loro avvicinandosi alla plancia. Se i nostri Investigatori non saranno in grado di eliminare il Grande Antico ed alla fine del turno esso sarà a contatto con la location, la partita terminerà con una sconfitta; lo stesso vale se per caso uno degli Investigatori dovesse subire troppi punti Insanità ed essere eliminato. Dare la caccia ad entità abominevoli è un mestiere molto pericoloso.
  6. FASE DEI SIGILLI: In questa fase gli Investigatori potranno utilizzare i sigilli da loro raccolti per sigillare le location che sono riusciti a liberare da tutti i cultisti.

 

I turni si susseguono, con un incalzare di cultisti ed entità siderali che vi metteranno a dura prova, costringendovi a gestire le vostre risorse in maniera misurata e bilanciata per non correre il rischio di trascurare una location e trovarvi sommersi.

Nella versione del regolamento attuale non è ancora disponibile la versione in solitario o a 2 giocatori, che invece sarà disponibile nel kickstarter; lo stesso vale per la versione narrativa, una modalità che permetterà di collegare ogni carta giocata con delle brevi storie ad essa collegate che andranno a comporre la storia dei nostri investigatori e degli orrori che andranno ad affrontare.

 

C’è una vasta selezione di Grandi Antichi, uno più pericoloso dell’altro

 

 

 

Grandi Antichi e Moderate Delusioni

Cultistorm si presenta come un progetto ambizioso che va ben al di la del gioco da tavolo (come d’altronde dice nello slogan stesso del gioco). La versione Kickstarter sarà corredata di miniature, soundtrack originale, un libro di spunti narrativi da leggere durante il gioco ed un libro di storie brevi di ambientazione lovecraftiana.

Nell’edizione Deluxe, il gioco e tutte le 14 espansioni (si, avete letto bene, 14 espansioni) saranno divise in tre scatole di imponenti dimensioni che un addon vi permetterà di riunire in una mastodontica scatola in plastica a forma di Necronomicon; Cultistom è un’opera d’amore nei confronti di Lovecraft e questo è il suo punto di forza.

I riferimenti a livello di illustrazioni e didascalie spaziano per tutto il panorama lovecraftiano anche con riferimenti a creature e storie molto meno “mainstream” di opere come  Il Richiamo di Cthulhu e Alle Montagne della Follia. L’intenzione degli autori era diffondere la loro passione per l’autore con un progetto che va ben al di là di un semplice gioco da tavolo.

 

Ogni Grande Antico ha la passione di modellare i suoi servitori a sua immagine e somiglianza

 

Se dal lato della produzione e dei materiali vengono promesse cose strabilitanti, putroppo non si può dire lo stesso delle meccaniche; non sono nulla di innovativo, e mi dispiace che non ci sia stata la possibilità di provare la modalità narrativa perchè, onestamente, è l’unica cosa che nella mia opinione potrebbe prendere questo gioco ed elevarlo al rango di “must buy”; non sono state attualmente annunciate traduzioni ufficiali del materiale di gioco e ciò in un gioco che dipende così tanto dalla lingua per poter essere goduto è un po’ una delusione.

I personaggi sono differenziati dai loro mazzi e le loro abilità, e certi abbinamenti porteranno ad avere un “party” più completo; c’è un forte richiamo all’anima più pulp del mondo lovecraftiano nel girare di location in location ad ammazzare cultisti. In assenza della componente narrativa da analizzare, però, c’è un forte distacco  tra l’atmosfera di terrore che si vorrebbe creare ed il nostro manipolo di investigatori che passa allegramente le giornate a sforacchiare cultisti.

 

I personaggi si distinguono fra di loro per le loro abilità rendendoli più simili ad un party di avventurieri che ad un manipolo di sventurati alla ricerca della verità

 

In definitiva Cultistorm è un titolo che mi lascia abbastanza tiepido nella forma che ho potuto provare e che è rivolto sopratutto al pubblico degli ultra fan di Lovecraft, che troveranno alcune miniature interessanti (prima tra tutte quella di H.P. Lovecraft in persona), una scatola che salterà subito agli occhi ed un gioco che ha le premesse nella sua versione narrativa per essere davvero speciale ma che nella sua versione non narrativa non riesce a spiccare il volo e distinguersi dalle decine di titoli con tematica simile proposti da tutte le altre case.

Voglio sottolineare tuttavia che per motivi tecnici questa anteprima ho dovuto farla su una piccola parte di quest’opera e che c’è così tanta carne al fuoco a livello di espansioni ed addon che solo alla consegna si potrà vedere il reale impatto di questo gioco. Sarà interessante vedere, a prodotto finito, se riusciranno gli amici di Purple Meeple a farmi cambiare idea!

Cultistorm è stato pubblicato per la prima volta su Lega Nerd. L’utilizzo dei testi contenuti su Lega Nerd è soggetto alla licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License. Altri articoli dello stesso autore: Giacomo Trevisan

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